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Sull’onda di Albert Einstein

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SCIENZA E FILOSOFIA

Sull’onda di Albert Einstein

Le indiscrezioni si susseguivano da settimane, e finalmente giovedì scorso è arrivata la comunicazione ufficiale. A un secolo esatto dalla predizione teorica, dovuta ad Albert Einstein, due giganteschi rivelatori hanno captato per la prima volta i sussulti dello spazio-tempo, le onde gravitazionali. Il risultato, di importanza epocale, è il frutto di un’analisi effettuata congiuntamente dalla collaborazione americana Ligo, responsabile degli strumenti che hanno rivelato le onde, e dalla collaborazione europea Virgo (cui partecipa, in posizione di primo piano, il nostro Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), che ha il proprio rivelatore a Cascina, vicino a Pisa. Vengono le vertigini (e i brividi) a pensare che ciò che è stato osservato non è, come è sempre successo finora, qualcosa che si propaga nello spazio-tempo, ma lo spazio-tempo stesso, che si increspa come la superficie di uno stagno quando vi gettiamo un sasso.

Nel caso delle onde gravitazionali, i sassi sono rappresentati da eventi cosmici estremi, che coinvolgono oggetti incredibilmente massicci. L’onda scoperta da Ligo è stata prodotta dalla fusione di due buchi neri a più di un miliardo di anni luce dalla Terra. In questo evento, una massa pari a quella di tre Soli si è convertita (sempre Einstein!) in una quantità inimmaginabile di energia di radiazione gravitazionale, diluitasi poi in tutto l’universo e giunta fino a noi come un impercettibile refolo.

A immaginare per primo le «onde gravifiche» (così le chiamava) fu, nel 1905, il fisico matematico francese Henri Poincarè, che però le inserì in un contesto sbagliato, quello della teoria oggi nota come relatività ristretta. Le vere onde gravitazionali furono previste da Einstein come conseguenza della «seconda» relatività, la relatività generale, nel giugno del 1916. Per molto tempo, tuttavia, il loro status teorico rimase dubbio (l’illustre astrofisico britannico Arthur Eddington diceva che viaggiavano «alla velocità del pensiero»).

Lo stesso Einstein, tornando nel 1936 sulla questione, ebbe un ripensamento e si convinse che le onde gravitazionali non esistessero. Spedì il lavoro che conteneva questa conclusione a una rivista americana, la Physical Review, la quale lo sottopose, come di consueto, al giudizio di un revisore anonimo, che diede parere negativo alla pubblicazione, segnalando un errore nel ragionamento. Einstein, non abituato alla peer review, si indispettì per la procedura . Scrisse al direttore della rivista dicendo di non averlo autorizzato a mostrare il lavoro ad altri. «Non vedo alcuna ragione – aggiunse – per replicare ai commenti, comunque erronei, del vostro esperto. A causa di questo incidente preferisco pubblicare l’articolo altrove». Ma il revisore – che era probabilmente Howard Percy Robertson, uno dei massimi specialisti di relatività - aveva ragione, e quando Einstein corresse l’errore, le onde gravitazionali tornarono a esistere (su un’altra rivista). Fu evidente fin dall’inizio, tuttavia, che dovevano essere debolissime e molto difficili da osservare, e per alcuni decenni nessuno se ne occupò più.

Ci vollero, negli anni Sessanta, l’ingegno e l’ostinazione di un fisico americano, Joe Weber, per aprire la via alla ricerca sperimentale delle onde gravitazionali. Weber ideò delle «antenne» costituite da grandi cilindri di metallo che avrebbero dovuto vibrare all’arrivo di un’onda. Fu un’invenzione importante, ma nel 1969 Weber incappò in un infortunio opposto a quello di Einstein: sostenne di aver visto - in abbondanza, per di più - delle onde che non c’erano (si trattava di falsi segnali). Le antenne di Weber hanno comunque svolto un ruolo notevole, lasciando poi il posto a una nuova generazione di rivelatori molto più sensibili, gli interferometri laser, sviluppati a partire dagli anni Ottanta negli Stati Uniti da Rainer Weiss e Ronald Drever, fondatori di Ligo, e in Italia da Adalberto Giazotto, il “padre” di Virgo.

Deformando lo spazio-tempo, un’onda gravitazionale modifica le distanze e le dimensioni degli oggetti. L’effetto è minuscolo, dell’ordine di un miliardesimo del diametro atomico. Per osservare distorsioni spaziali così piccole, gli interferometri usano due fasci laser perpendicolari, che vengono inviati su e giù, in tubi a ultra-vuoto lunghi alcuni chilometri; se un’onda gravitazionale modifica le distanze percorse nelle due direzioni, i fasci vanno fuori fase e producono una figura di interferenza. È come misurare la distanza della Terra da Sirio con una precisione pari allo spessore di un capello: per quanto sembri incredibile, gli interferometri Ligo e Virgo sono in grado di farlo.

Una conferma indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali era già venuta nei decenni scorsi dallo studio della pulsar binaria PSR 1913+16, un sistema costituito da due stelle di neutroni che ruotano l’una attorno all’altra, il cui periodo orbitale varia a causa dell’emissione di energia sotto forma di radiazione gravitazionale. Ma la rivelazione diretta delle onde gravitazionali, inaugurata dal lavoro delle collaborazioni Ligo e Virgo, oltre a rappresentare il coronamento sperimentale della relatività generale, apre prospettive astrofisiche e cosmologiche esaltanti. Finora l’universo è stato esplorato soprattutto per mezzo delle onde elettromagnetiche (luce, radiazione infrarossa, raggi X, ecc.). Le onde gravitazionali spalancano una nuova importantissima finestra sugli aspetti più misteriosi del cosmo e sui suoi primi vagiti.

Nel 1931 Einstein visitò l’osservatorio di Mount Wilson in California, dove ebbe modo di ammirare il telescopio da due metri e mezzo (all’epoca il più grande al mondo) con cui Edwin Hubble aveva scoperto l’espansione dell’universo. Alla moglie Elsa che lo accompagnava, qualcuno disse che gli astronomi usavano quello strumento per svelare i segreti del cosmo. «Mio marito lo fa su un pezzo di carta», rispose candidamente lei. Era vero, ma le teorie devono essere convalidate dagli esperimenti.

Ci sono voluti cento anni, due rivelatori lunghi chilometri e un immenso sforzo scientifico e tecnologico per verificare la predizione delle onde gravitazionali fatta nel 1916 su un pezzo di carta. Ma ne è valsa la pena, e nessuno avrebbe potuto immaginare una festa di compleanno più bella per la teoria einsteiniana.

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