Voci a confronto sulla geotermia toscana: la parola a Adele Manzella (CNR)

Quali benefici, quali impatti e quale futuro per la coltivazione di quest’energia rinnovabile? Le risposte in un’intervista doppia

[16 Febbraio 2018]

La geotermia rappresenta da sempre una risorsa rinnovabile indigena della Toscana, impiegata per la produzione di energia elettrica sin dagli albori del ‘900. Ancora oggi nel nostro Paese l’industria geotermoelettrica è riuscita a sbocciare soltanto in Toscana, con coltivazioni attive all’interno del territorio di 16 comuni geotermici suddivisi su due aree di sviluppo: quella storica, situata attorno a Larderello, e quella dell’Amiata. Con quali benefici, quali impatti e quale futuro? L’abbiamo chiesto a due interlocutori: di seguito pubblichiamo l’intervista a Adele Manzella, geologa e Primo Ricercatore all’Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). A questo indirizzo è invece disponibile l’intervista dove Roberto Barocci, ex docente dell’Istituto di Istruzione Tecnica di Grosseto, sezione Geometri, oggi voce di spicco di SOS Geotermia e Rete NO GESI, risponde alla medesime domande.

Nel 1904 è stata ottenuta elettricità da geotermia per la prima volta al mondo, in Toscana: oggi sono 34 le centrali geotermoelettriche presenti sul territorio, che riescono a soddisfare il 30,78% della domanda regionale di elettricità oltre ad alimentare una filiera del calore da 311 GWh. Quale ruolo crede la geotermia dovrebbe esercitare al 2050, entro quando la Regione si è impegnata a produrre energia elettrica solo da fonti rinnovabili?

Nessuna risorsa rinnovabile può arrivare, da sola, a produrre tutta l’energia necessaria. La giusta combinazione di risorse rinnovabili, unita all’efficienza energetica, permetterà di soddisfare il fabbisogno energetico. Grazie alla sua capacità di produrre calore e fornire energia elettrica con continuità, la geotermia può giocare un ruolo importante, soprattutto in Toscana dove la risorsa geotermica è tra le meraviglie del mondo: solo pochissime altre aree hanno risorse altrettanto preziose. La produzione è già elevata, ma si può fare molto di più. L’uso della risorsa geotermica dovrebbe essere considerato per qualunque uso termico, da quello domestico fino ai grandi processi industriali: è soprattutto di calore che abbiamo bisogno, e la geotermia può soddisfare una larga parte di questi. La produzione elettrica da geotermia dovrebbe essere potenziata al massimo, a garantire la richiesta di base con la necessaria continuità. Per quanto non ci siano stime esatte, io credo che la geotermia può arrivare a fornire la gran parte della richiesta termica e almeno la metà di quella elettrica, in Toscana, al 2050.

Si stima che il sottosuolo italiano custodisca ancora risorse geotermiche «importanti e poco utilizzate», pari a circa 500 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Due anni fa il ministero dello Sviluppo economico ha pubblicato le linee guida per la coltivazione della geotermia ad alta e media entalpia, mentre la Regione Toscana si appresta a concludere l’iter per la definizione delle ‘aree non idonee’ alla coltivazione, oltre a proporre una nuova legge e un nuovo Accordo con Enel Green Power per migliorare le ricadute della coltivazione geotermica sui territori. A quali obiettivi pensa dovrebbero guardare questi nuovi indirizzi normativi?

La transizione energetica che investe tutti i paesi industrializzati, Europa in testa, sta richiedendo notevoli cambiamenti che la società fa fatica a metabolizzare. Abbiamo paura: abbiamo bisogno di energia ma abbiamo paura che qualunque nuovo impianto sia un rischio per la nostra salute, il nostro territorio, e rappresenti un vantaggio solo per operatori e gestori. Le nuove norme dovranno mirare a dare garanzie ai cittadini rinforzando la normativa ambientale (in Italia e in Toscana già molto estesa), sia censendo e normando qualunque aspetto ambientale e sanitario che possa emergere da dibattiti scientifici o pubblici, sia imponendo la pubblicazione di dati e la possibilità, per ciascuno, di verificare come si svolgono le attività, e la possibilità di intervenire qualora si individuino criticità.

Occorrono, del resto, anche norme e una organizzazione che permettano la raccolta e la pubblicazione di tutti i dati connessi all’indotto geotermico: ad es. numero di impiegati nel settore (diretti e indiretti), entrate finanziarie (dirette ed indirette) degli operatori e del territorio, risparmi energetici e ambientali.

La normativa dovrà al contempo garantire lo sviluppo della società attraverso la produzione ottimizzata di energia elettrica e calore: iter autorizzativi chiari, da svolgere in tempi brevi qualora non ci siano dati oggettivi che indichino criticità; una definizione di idoneità dei territori basata su criteri che tengano conto degli interessi delle diverse parti.

Gli ultimi due studi coordinati dall’Agenzia regionale di sanità (Ars) «non hanno fatto emergere problemi significativi sulla salute delle popolazioni amiatine» riconducibili alla coltivazione dell’energia geotermica. Lo stesso può dirsi per il noto studio del 2014 firmato da Basosi e Bravi. In ogni caso, l’Ars sta svolgendo una nuova indagine epidemiologica sul campo, InVETTA: quali pensa siano i fattori di rischio più meritevoli di attenzione?

Quelli che più spaventano i cittadini e dei quali si è parlato e scritto in varie occasioni: mercurio e arsenico nelle acque; emissioni di H2S e elementi nocivi; interazione con le falde idriche potabili; sismicità. In moltissimi casi le norme esistono e i controlli sono già in atto, al CNR le abbiamo descritte in due pubblicazioni, una in italiano e disponibile in rete http://atlante.igg.cnr.it/images/stories/volumi/VolumeAmbientaleAtlante-stampa.pdf, una recentissima e più aggiornata e disponibile sulla letteratura scientifica (Geothermics, Manzella et al., 2018). I controlli sanitari citati sono importanti e si stanno intensificando. Ma per alcuni la norma e il dato non sono ancora sufficienti.

Ad oggi in Toscana sono oltre 30 i milioni di euro che vengono destinati annualmente ai territori oggetto di “concessioni per la coltivazione geotermica”, un’attività che dà inoltre lavoro diretto a circa 740 dipendenti Enel Green Power più a un altro migliaio nell’indotto, oltre ad alimentare una filiera agroalimentare di qualità – come nel caso della Comunità del cibo a energie rinnovabili nata nel 2009 da un’intesa tra CoSviG e Slow food – e ad attrarre oltre 60mila turisti all’anno. Eppure secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Osservatorio Nimby «il 3% circa delle opere contestate» in tutta Italia ha a che vedere con la geotermia: cos’è auspicabile fare per migliorare l’accettabilità sociale della coltivazione nei territori coinvolti?

Nel corso della mia attività mi sono resa conto di quanto poco si sa di geotermia in generale. Laddove la geotermia si utilizza, come in Toscana, il cittadino si è dovuto attivare per sostenere il dovere di effettuare i monitoraggi e i controlli. Molti abitanti dei territori geotermici non sono pienamente consapevoli delle opportunità offerte dalla geotermia. Chi lo è, non è attivo nell’esprimere l’apprezzamento (e perché dovrebbe?), e il messaggio del passaparola è sempre e solo quello negativo.

Prima ancora dell’accettabilità ci vorrebbe l’incontro, più che lo scontro, di interessi. L’operatore fa l’impianto per fornire energia, necessità primaria per il Paese e il territorio, ma solo se ne ha un guadagno economico al netto delle spese. Il cittadino e il territorio è infastidito dall’impianto: lo accetta solo se ne vede un vantaggio per sé, oltre che per il Paese, e se è sicuro che non comporti rischi all’ambiente o alla salute.

Il ruolo del cittadino diventa attivo e il suo parere essenziale, un argomento di grande rilievo in Europa. I pochissimi studi fatti su questo tema non indicano ancora soluzioni chiare e consolidate, ma credo che in Italia occorra partire dal ricostruire la fiducia nelle istituzioni preposte alla organizzazione, gestione e controllo, e intensificare le occasioni di incontro e dibattito costruttivo. Ampliare il rapporto tra ricerca e società, e aiutare i cittadini a distinguere i fatti, basati su dati oggettivi, dalle opinioni.