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Minzolini, respinta la decadenza

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Report Extra.<br /> Minzolini, respinta la decadenza

Autori: Alessandra Borella
Stagioni: 2017

Augusto Minzolini è ancora senatore. Questa mattina l’aula del Senato gli ha salvato il seggio. L’Assemblea di Palazzo Madama ha approvato con 137 sì, 94 no e 20 astenuti l’ordine del giorno Caliendo per respingere la delibera della Giunta delle elezioni e delle immunità che si era già pronunciata a favore della decadenza dal mandato elettorale.

Minzolini è interdetto dai pubblici uffici dopo la sentenza definitiva per peculato, per l’uso improprio delle carte di credito Rai, confermata in Cassazione il 12 novembre 2015. Il 18 luglio 2016 la giunta aveva deciso per l’applicazione della legge Severino. Quattro giorni prima la Corte Europea aveva giudicato irricevibile il ricorso dell’ex direttore del Tg1 per presunta violazione del giusto processo.

L’esame del documento è stato in calendario più volte negli ultimi dieci mesi. Rimasto però sempre in coda ai lavori del Senato, di rinvio in rinvio. Nel frattempo si sono discusse, tra le altre, una mozione per introdurre il reato di “molestie olfattive”, una per il contrasto all’obesità, e poi per la valorizzazione del festival di Verdi a Parma e Busseto, per la coltivazione della vite o la casa di Gramsci a Ghilarza da dichiarare monumento nazionale.

Della decadenza di un parlamentare spetta all’Aula l’ultima parola, lo stabilisce l’articolo 66 della Costituzione. Ma non è previsto un termine e così si finisce per non votare mai. Si potrebbe inserire per legge, modificando il regolamento del Senato. Tutti ne discutono, qualcuno lo ha proposto, ma è dura metterlo in pratica, visto che la giunta per il regolamento di Palazzo Madama non si riunisce da più di due anni: l’ultima seduta risale al 30 luglio 2014.

In Francia non c’è un termine per la votazione, proprio come da noi. Eppure ci hanno messo sei giorni per espellere il senatore Gaston Flosse. In altri Paesi la decadenza è automatica, come in Spagna e Portogallo, e anche in Inghilterra, se la pena supera un anno di reclusione. Dove non è prevista proprio la decadenza, come negli Stati Uniti, non ci sono precedenti di membri del Congresso che non siano stati espulsi in caso di condanne. E possono essere “censurati” dalle votazioni anche per molto meno.

In India dal 2013 basta una sentenza di primo grado per essere espulsi e in Giappone il deputato Myiazaki si è dimesso il 12 febbraio 2016, con scuse pubbliche, per aver tradito la moglie. In Germania decide il Consiglio degli anziani del Bundestag, ma dal Bundestag ci fanno sapere che non ricordano sia mai accaduto: in fondo, i ministri tedeschi si dimettono per aver copiato una tesi.

In Italia, invece, per un senatore che non decade, ce n’è uno che vorrebbe andarsene e non ci riesce. Giuseppe Vacciano ha presentato le sue dimissioni il 22 dicembre 2014. Anche in questo caso ci vuole un voto dell’Aula. Che gliele ha bocciate quattro volte. Mentre spera di farle calendarizzare ancora, ha detto di non volere il vitalizio, che ora si chiama “pensione del parlamentare”. Se arrivasse a fine legislatura, però, dovrebbe prenderlo per forza. Come Minzolini, che intanto dal giorno della sentenza ha percepito intorno ai 180mila euro tra indennità, diaria e rimborsi. E ci arriveranno entrambi, è quasi sicuro. Anche se Minzolini ha dichiarato di volersi dimettere, l’aula dovrebbe comunque pronunciarsi, e a questo punto boccerebbe le sue dimissioni, come ha fatto ripetutamente con quelle di Vacciano. Uscire dal palazzo, per legge o volontà, è impresa titanica. 

 

(giovedì 16 marzo 2017 - articolo aggiornato dopo il voto dell'aula)

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