“Torneremo come prima” (speriamo di no)

Dunque, ricapitoliamo: c’era una volta l’Italia, riassunto delle puntate precedenti. Fino a qualche settimana fa vivevamo in una nazione bellissima dove il turismo valeva il 5,5 per cento del Pil ma nei tribunali e nelle scuole la carta igienica te la dovevi portare da casa e dove la mensa e i quaderni e lo scuolabus dei figli degli immigrati – che lavoravano in nero ma avevano misteriosamente il reddito Isee a zero– la pagavamo noi. E parlo per esperienza diretta.

I genitori dei medesimi poveri bambini inoltre, pagavano regolari affitti più o meno inclusivi di spese condominiali e utenze. Cioè: spesso non li pagavano, e quindi i proprietari di casa che non incassavano il dovuto per mesi e mesi e spesso anni, dovevano affrontare spese legali per attivare procedure di sfratto e nel frattempo però pagare le tasse su un bene da cui non percepivano alcuna rendita (e pensare che nel Regno Unito se non paghi l’affitto ti sbattono fuori in quattro settimane e negli Stati Uniti più o meno idem. A dire il vero, in questi paesi se non puoi mantenerti e non sei un rifugiato nemmeno entri).

Perciò, in quell’Italia di ieri, il mancato introito, per qualsivoglia motivo, del proprietario, o dell’imprenditore o del piccolo professionista indipendente, e quindi mancato introito dell’erario, che era considerato evasione – o dichiarazione infedele o altra denominazione che, tanto, di riffa o di raffa, spuntava fuori – si spalmava su tutti i cittadini contribuenti e diventava ammanco e quindi debito pubblico. Moltiplichiamo questi mancati guadagni per decine di migliaia di situazioni per decenni, ma il problema era sempre l’evasione di chi dava lavoro e si arrangiava a tenere aperta la saracinesca.

In Italia, fatta salva la breve e osteggiatissima parentesi salviniana, non si difendevano i confini e entrava chiunque, anche non munito di documenti, anche senza alcun titolo di studio o professionale, senza un reddito minimo o una casa dove andare a dormire. Quindi è evidente che per la nostra evoluta civiltà di Maastricht e di Schengen era sufficiente un bel materasso sfondato e un ponte sotto cui adagiarlo, anche se eri portatore di malattie epidemiche come la tubercolosi, l’epatite, la scabbia o l’aids e di professione facevi lo spacciatore recidivo o il panchinaro alla stazione. Tanto pagava Pantalone (in Australia non fanno entrare nemmeno una luganega sottovuoto, saranno scemi, non c’è altra spiegazione).

Il prezzo medio della benzina nel mondo è 1,03 dollari americani per litro, qui era 1,67 (prezziario aggiornato al 16 marzo). Non ancora contenti di essere fessi, o fatti fessi, avevamo ben 26 concessionarie autostradali private a cui lo Stato aveva appaltato la rete autostradale, i cui rincari periodici erano del 2,5 per cento, circa il doppio dell’inflazione. E crollavano pure i viadotti con la gente sopra, pensate. Però l’Europa ci imponeva la lunghezza dei cetrioli (non è che magari è ora di farsele due mezze domande, anche e soprattutto sulla reale utilità della cara vecchia Ue?).

 Su una bolletta per consumo di energia elettrica di 25 euro, con le tasse e gli oneri, gli anticipi e i conguagli, si arrivava ad oltre 100 euro (chiedetelo, se vi capita, a un pensionato con la minima come fa a mantenersi). Vantavamo senza ritegno un tasso di disoccupazione all’11 per cento ma, se si considerava la disoccupazione giovanile sotto i venticinque anni, si raggiungeva quota 25 per cento (chi li manteneva? Noi, con il reddito di cittadinanza, ma non tutti e parzialmente. E gli altri?).

Continuo. Per risolvere tutti gli arretrati dei tribunali italiani ci sarebbero voluti tra i cinque e gli otto anni, quando il 95 per cento delle nostre imprese aveva meno di dieci dipendenti, e quindi una bassa produttività ed era stritolato dalla tassazione. E sto volontariamente omettendo le fonti di questi dati perché purtroppo sono tutte verificate e ufficiali ma, cito qui l’Ocse, i quindicenni i italiani avevano capacità di lettura e competenze in scienze e matematica inferiori a quelle dei coetanei degli altri paesi e meno di un italiano su tre aveva una laurea rispetto a una media Ocse del 44 per cento, dato che rifletteva, fino a ieri, l’assoluta arretratezza culturale basilare e la carenza intellettuale della nazione sia nell’immediato che in proiezione, salvo miracoli. E senza cervelli nessuno va lontano. Sorvolo sul costo ridicolo della macchina della Pubblica amministrazione e sul debito pubblico e quanto ci costava ripagarlo alla Bce, sui buchi della sanità e sul precipizio del welfare, dell’industria ormai pressoché inesistente, tra poco anche l’ultima gloria della moda avremo perduto. Tutte cose che oggi sono sotto gli occhi di tutti grazie alla peste del Coronavirus.

Quindi la storia, l’imperfetto passato, ci hanno condotti a porci una sola domanda: ma davvero dopo la crisi, che è ormai conclamata e imminente, vogliamo tornare come prima? Ci affidiamo alla cantatina dal balcone e come ignare caprette al macello al mantra del pensierino positivo “dell’andrà tutto bene” mattina, pomeriggio e sera e un arcobaleno come unica cura? Oppure abbiamo capito che a breve purtroppo staremo molto peggio per decenni e qualcuno dovrà rimediare? E a chi lo faremo fare? A chi metteremo in mano le nostre vite, le nostre aziende, i nostri figli, i nostri genitori? A chi chiude i confini ma solo per la Cina come se il resto del mondo non esistesse? Una barzelletta. Una barzelletta omicida.

Ha ragione Massimo Cacciari, nomen omen, così come l’ha cantato in faccia a Bianca Berlinguer in diretta e senza filtri: l’unica cosa sensata che ci sarà da fare sarà quella di cacciare via tutta la classe dirigente, intellettuale, governativa attuale compresi loro e ricominciare da zero con gente nuova e possibilmente capace.

Torneremo come prima? Ma speriamo proprio di no.

Aggiornato il 20 marzo 2020 alle ore 14:59